EUGENIO MONTALE E LE SUE DONNE

Il 12 ottobre del 1896 nasceva Eugenio Montale.
Come spesso accade ai poeti l’universo femminile ha avuto un’importanza fondamentale per la sua vita come per la sua ispirazione.
Se Dante ha avuto Beatrice, Petrarca Laura e Leopardi Silvia, Montale ha avuto Clizia, la musa ricorrente nelle raccolte poetiche “Le occasioni” e “La bufera e altro”.
In realtà Clizia è un “sehnal” (un nome fittizio nella poesia trobadorica) dietro al quale si cela la critica letteraria e accademica statunitense Irma Brandeis.
Montale e la Brandeis si conobbero nell’estate del 1933.
Innamorata fin dall’adolescenza della cultura italiana e studentessa di letteratura italiana e di Dante alla Columbia University, Irma si trovava in Italia per studio e per piacere e le era capitata casualmente in mano la prima raccolta poetica di un giovane e ancora poco conosciuto poeta ligure: “Ossi di seppia”.
Ne rimase stregata, tanto da volerne subito conoscere l’autore.
Si presentò così al gabinetto scientifico-letterario Vieusseux di Firenze, del quale Montale era allora direttore, bussò timidamente e fu proprio il poeta ad aprirle.
Quando si trovò davanti quella bella ragazza con gli occhi azzurri e i capelli neri a caschetto alla moda degli anni Venti lui rimase folgorato.
Per lei, invece, la prima impressione non fu esattamente all’altezza delle aspettative:
«Vestito con buon gusto, davvero semplice, alquanto brutto e spesso, persino, piatto».
Così lo descrisse in una lettera, aggiungendo che nelle sue conversazioni non c’erano mai «dieci parole degne di essere ricordate».
Ma dopo un corteggiamento a base di libri e conversazioni letterarie ebbe inizio una storia d’amore che sarebbe durata per cinque anni, vissuta per lo più a distanza, nel corso della quale “Clizia” e “Arsenio” (così era soprannominato dagli amici il poeta, dal titolo di uno dei suoi componimenti più celebri) si scambiarono ben centocinquantasei lettere.
Scrive Arsenio:
«Non faccio che ripetere il tuo nome Irma Irma Irma. Mi sembra di vederti ovunque e non so se esserne spaventato o rincuorato».
E Clizia risponde:
«Ho paura della mia fantasia che mi fa vivere spazi e tempi che in realtà non esistono; perché io ho visto veramente una nostra casa, un nostro gatto, i nostri libri e, fuori, Costa San Giorgio».
Un rapporto fondato, oltre che sull’attrazione fisica (per ragioni di spazio spesso assente) sull’affinità spirituale e sugli interessi condivisi, in cui entrambi trovarono l’uno nell’altra qualcosa di cui mancavano.
Per Irma la relazione con un grande poeta del quale sarebbe diventata la musa ispiratrice fu una sorta di compensazione per le proprie frustrate ambizioni letterarie come autrice di romanzi.
«La vita non basta» scriveva «la bellezza che è nella vita deve cristallizzarsi; deve essere isolata, altrimenti di fronte ad essa il cuore si spezzerà per l’impotenza.»
Per Montale invece la studentessa americana funse di fatto da mediatrice culturale portandolo ad approfondire la conoscenza dei grandi poeti statunitensi (T.S. Eliot ed Ezra Pound, argomento frequente dei loro scambi epistolari) che tanta influenza avrebbero esercitato sullo sviluppo della sua poetica.
Nel 1938 la separazione diventò definitiva; con la promulgazione delle leggi razziali per Irma, che era ebrea, diventò impossibile tornare in Italia.
Nel finale della  celebre poesia “Primavera hitleriana”, ispirata dalla visita di Hitler a Firenze avvenuta  nel maggio di quell’anno, Montale si rivolge proprio alla donna amata e irrimediabilmente lontana; ma i limiti della realtà biografica sono trascesi e Clizia, nella migliore tradizione poetica italiana, diventa il simbolo stesso della cultura e della poesia, erette come un baluardo contro il dilagare della barbarie nazifascista:
Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince –
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud…
Il nome non è casuale: nella mitologia greca Clizia era il nome della ninfa innamorata di Apollo, Dio del sole e della poesia, che si trasformò in girasole a forza di guardare il percorso in cielo dell’amato.
Ma a separare Montale e Irma non erano solo gli avvenimenti politici, come dimostra il fatto che non si riunirono neanche dopo la guerra; in questa bellissima storia d’amore c’è infatti, come spesso accade, una terza incomoda: la scrittrice Drusilla Tanzi (tra l’altro sorella di Lidia Tanzi, la madre di Natalia Ginzburg) che il poeta aveva conosciuto nel 1927 e con cui aveva iniziato una relazione quasi in contemporanea con quella con Clizia.
Un triangolo amoroso?
No, addirittura un “quadrato”, visto che Drusilla all’epoca era a sua volta sposata con il critico d’arte Matteo Marangoni.
Tutti i tentativi di Montale di rivedere Irma furono frustrati da Drusilla (da lui chiamata X nelle lettere all’americana) che minacciò addirittura di suicidarsi se il poeta avesse osato imbarcarsi per gli Stati Uniti.
Così Clizia riassunse il problema ad Arsenio:
«Ecco la situazione: una donna isterica minaccia di uccidersi e in questo modo tiene in scacco finché vive la vita di due persone. Una di queste decide di accettare la situazione, l’ altra, semplicemente, non ha scelta. A quest’ altra può succedere qualunque cosa […]
Io ti amo e forse disprezzo quello che hai fatto, ma questo non cambia le cose.
Le soluzioni più ovvie, immagino, sono di piangerci su, scriverne o fare l’amore con un altro. Perdonami se quanto ho scritto sembra non da me e orribile. Il mio cuore ha preso a battere con un ritmo sgradevole, rapido e a fior di pelle!».
Non si rividero mai più e a un certo punto cessarono anche gli scambi epistolari.
Montale sposò Drusilla nel 1961 (il marito di lei aveva tolto il disturbo nel 1958); il matrimonio durò solo un anno; Drusilla morì per le conseguenze di una caduta nel 1962.
Poveretta!
Tra l’altro era molto meno attraente di Irma, come dimostra il soprannome poetico che il marito le aveva affibbiato in riferimento alla sua miopia e ai suoi occhiali spessi: “Mosca”.
Clizia suona decisamente meglio.
Ricatti sentimentali e minacce di suicidio a parte, fu comunque una compagna devota e premurosa per Montale che le dedicò una delle sue poesie più famose:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Solo nel giugno del 1981 Montale si decise finalmente a rompere un silenzio durato quarant’anni per mandare a Irma una copia dell’einaudiana “Opera in versi”, la raccolta completa di tutte le sue poesie, accompagnata da un biglietto:
«Irma,
you are still my Goddes, my divinity.
Quando, come ci rivedremo?
il tuo Montale».
Fu la sua ultima lettera.
Morì tre mesi dopo.
Irma lo avrebbe seguito nel 1990.
Alla storia d’amore tra Montale e Irma Brandeis è dedicato il romanzo di Valeria Traversi “Io non sono Clizia”.
L'immagine può contenere: 3 persone, persone in piedi, il seguente testo "DRUSILLA TANZI EUGENIO MONTALE IRMA BRANDEIS"
Tu, Rosalba Diana e altri 3